La maggior parte dei genitori che oggi hanno uno o più figli minorenni, sono stati bambini in un periodo storico nel quale il modello genitoriale predominante era quello dell’autoritarismo, e pochi erano i dubbi in proposito circa il ruolo da assumere. Si viveva un modello familiare pressoché standard nel quale vigeva una netta distinzione di ruolo tra madri e padri, alle prime era affidata la cura e tutti gli aspetti pratici di accudimento del bambino, al padre spettava il ruolo di regolamentare il comportamento e impartire precise linee guida, dalle quali era chiarissimo non fosse ammessa allontanamento. Una descrizione molto tranchant, così come lo era anche il modello educativo e relazionale dell’epoca.
Le mamme e i papà di oggi, che sono stati i figli di quell’epoca, ne hanno per lo più preso le distanze, immaginando e sperimentando modelli di genitorialità alternativi. Diversamente da quanto accadeva in passato, si offrono numerosi modelli sul come crescere i propri figli. Se la varietà permette certamente l’apertura alla diversificazione, e quindi, la possibilità di adattare il modello in relazione alla personale esperienza, nonché al bambino che si ha di fronte, e ancora al tipo di coppia genitoriale che si va costruendo, allo stesso tempo tutta questa varietà e diversificazione pone grandi interrogativi, genera un importante stato d’ansia, apre numerosi conflitti, mette in difficoltà la solidità del ruolo genitoriale, che troppo spesso viene vessato e mal giudicato. In questo scenario, le mamme e i papà di oggi si pongono numerosi interrogativi sulla propria genitorialità: quesiti aperti che chiedono a gran voce una risposta univoca e definitiva agli esperti del settore dal pediatra allo psicologo al nutrizionista all’osteopata, nella speranza di mettere a tacere l’ansia e di poter una volta e per tutte imboccare una strada con la certezza di non commettere errori irreparabili, nel timore di danneggiare il pargolo o di sottostimare la sua intelligenza o di non saper offrire il massimo in ogni campo.
Va aggiunto, che in un epoca in cui dare la propria opinione sulle cose è diventato un lavoro molto ben retribuito, non c’è più nessuno che sia in grado di astenersi dal dire la propria in relazione a come quella mamma e quel papà stiano cercando di essere i migliori genitori possibili per i loro figli. Purtroppo, lo sguardo sociale veicola spesso messaggi ambivalenti, e si pone con una modalità giudicante e talvolta persino invadente; così che i genitori di oggi subiscono una forma di pressione sociale.
Da un punto di vista psicoanalitico, l’entrare nella dimensione della genitorialità apre nel mondo interno del soggetto la creazione di una nuova parte del sé: insieme al bambino nascono anche una madre e un padre. Il ruolo che questa madre e questo padre neonati andranno strutturando, sarà espressione di molte parti, la propria visione idealizzata di una mamma e di un papà sempre capaci in ogni situazione di scegliere “la cosa giusta”, le immagini introiettate nel rapporto con le famiglie d’origine di come i loro genitori sono stati mamma e papà. Emerge, quindi, un conflitto intrapsichico, che pone dolorose ambivalenze, e necessari aggiustamenti affinchè possa emergere un reale ed autentico sè genitoriale di madre e padre.
La genitorialità viene così caricata di grandi aspettative del sé e della coppia, investita di grande importanza dal punto di vista della realizzazione personale, ed inoltre rappresenta un elemento essenziale del sè sociale, come una parte del sé che viene mostrata come “creazione” e che necessità di essere riconosciuta a 360° come un “buon lavoro”.
Una vera e propria messa in discussione del ruolo, che se da un lato apre al desiderio di miglioramento e all’introspezione, dall’altro muove verso l’insicurezza, la paura di sbagliare, il senso di colpa. Una fragilità personale che si ripercuote anche sui bambini, che ne percepiscono l’inquietudine e la mancata solidità. L’incertezza fa parte dell’esperienza umana, si sa, e come tale è promotrice di una spinta al cambiamento, se presente in dosi moderate. Quando, invece, l’incertezza supera una certa quota, e pervade prepotentemente la percezione di sé, mina le basi del senso di sicurezza e stabilità, che sono altrettanto necessari nel processo evolutivo.
Si delinea così uno scenario alquanto complesso, ricco di insidie, e caratterizzato da un profondo senso di incertezza, vulnerabilità e confusione. Di fronte a questo, le mamme e i papà di oggi si destreggiano tra retaggi delle proiezioni dell’educazione ricevuta da bambini e che hanno introiettato come lascito dai propri genitori, propri convincimenti idealizzati e una pressione sociale molto controllante e giudicante.
Come uscire da questa morsa? Prima di tutto fare squadra! Madri e padri non sono soli di fronte al compito di crescere ed educare i propri figli, ma sono in due. Sapere di essere una squadra, un team, ribalta la visione del problema: improvvisamente non si è più in balia di questi dubbi, ma li può esternare con schiettezza e con delicatezza all’altro genitore. Cosa si chiede l’un l’altro? Complicità, capacità di ascolto e sapersi porre in una posizione di attiva ricerca di risoluzioni.
Qualora questa possibilità dovesse mancare, restando irrisolti i conflitti e risultando problematica la relazione genitore-figlio, si vede necessario l’accesso ad un intervento di sostegno psicologico.